“…E venne chiamata due cuori” ovvero il libro che ogni ricercatore, ogni persona inquieta, poco soddisfatta del sistema di vita della nostra società, dovrebbe leggere per trovare risposte alle domande interiori….
I protagonisti di questa storia sono il popolo della “vera gente” , e già il nome che si sono dati la dice lunga; si tratta di una delle tribù di aborigeni che dalla notte dei tempi abita l’outback, il deserto del’interno australiano che così viene chiamato dagli invasori di pelle bianca. In difficoltà per i cambiamenti climatici che progressivamente hanno alterato il delicatissimo equilibrio di quest’area, difficoltà nel trovare cibo, difficoltà nel sopportare un caldo sempre più estenuante, decidono, con grande consapevolezza e serenità, di non riprodursi più, di estinguersi progressivamente per non creare ulteriori problemi agli altri esseri, abitanti di un’ecosistema che non è più in grado di sostenere e soddisfare la vita di tutti. Prima di andare decidono però di lasciare un testamanto spirituale agli occidentali, una traccia del loro passaggio su questo pianeta, loro così silenziosi, leggeri e delicati da dover richiamare l’attenzione per farsi conoscere. Scelgono come esecutore testamentario una donna, un’anima che ritengono possa capire fino in fondo e diffondere nel modo giusto il loro messaggio al mondo, un medico americano che stava lavorando con aborigeni residenti in città, occupandosi della loro problematica integrazione nella società bianca. Dunque invitano la prescelta ad incontrare i menbri della tribù.
Non si tratterà però di una conferenza, di una rassegna stampa, di un comunicato televisivo, ma di un viaggio attraverso l’outback in cui la coinvolgeranno per tre mesi; gli aborigeni infatti non possono comunicare, farsi capire, prescindendo dalla loro terra, il loro elemento naturale. L’atroce impatto di questa donna con una natura così integra ed un sistema di vita che non scende a compromessi, non sarà facile, ma questa esperienza avrà un’intensità ed una verità senza precedenti per lei; gli insegnamenti e gli scambi saranno continui e profondi per tutte e due le parti. Condurrà una vita all’osso, così essenziale ed integrata con il fluire naturale dell’esistenza, scevra da ogni sovrastruttura che ha invece allontanato noi da certe semplici verità e ci ha portato a parlare senza capirsi e a partorire certi mostri della ragione. Per rimanere in tema di comunicazione la nostra scienziata allibita ci racconta come i componenti la tribù fossero soliti comunicare a parole solo con lei o per gentilezza davanti a lei, mentre tra loro si mandavano messaggi per via telepatica. Ci riuscivano perchè totalmente connessi tra loro; erano riusciti a sviluppare un legame così profondo a livello collettivo e con tutti gli elementi naturali, con cui non avevano reciso il cordone ombellicale (a differenza nostra), da essere persino in grado di utilizare le forze naturali come l’etere. Uno straordinario esempio di resa pratica dell’intuizione junghiana dell’inconscio collettivo, un mondo delle idee che si trova sopra di noi, coscienza del divino, a cui l’uomo occidentale secondo lo psichiatra svizzero riesce a connettersi soltanto in sogno, quando lascia andare l’attività mentale che lo coinvolge durante il giorno, o in momenti di profondo abbandono spirituale…e per loro si trattava di una seplice pratica quotidiana!
La consapevolezza della vera gente si era sviluppata a livelli tanto alti da renderli in grado di avere una coscienza molto precisa di certi meccanismi della nostra società che noi stessi stentiamo a riconoscere, e questo senza essere entrati granchè in contatto con la civilizzazione, ma riuscendo ad arrivare ad un livello così alto attingendo direttamente alla pura conoscenza interiore. Quando lei improvvisa un sugo con delle erbe da mettere sulla carne, l’Anziano della tribù lo paragona al nostro tipo di mentalità per cui creiamo delle glasse superficiali e belle da vedere, nascondendo però odore e sapore dell’elemento che dà la sostanza! Il loro atteggiamento così naturale nei confronti dell’esistenza li portava naturalmente a non giudicare le scelte altrui, pur avendo la lucidità di riconoscere gli errori e la forza di fare scelte lievi, coraggiose e fondanti come lo scomparire dalla faccia della terra. Non si tratta però di una decisione particolarmente dolorosa, non sentono un grande attaccamento alla materia e quindi alla vita terrena, percorso non fine a se stesso ma che ha come ultimo scopo l’evoluzione. Curiosi ed aperti al confronto scoprono anche il nostro festeggiamento del compleanno, che li fa sorridere pensando che non c’è poi tanto di straordinario nell’avere un anno in più: loro invece organizzano qualcosa di speciale quando uno della tribù sente di avere superato un gradino evolutivo, una prova, di essere milgliorato nel carattere e nella coscienza delle cose.
La dottoressa Marlo afferma che queste persone hanno un unico scopo nella vita: l’armoniosa evoluzione personale all’interno della crescita collettiva. Ognuno prende un nome; non appena scopre il proprio talento punta le proprie energie all’accrescimento di questo per il bene e al servizio della comunità, lontano da motivazoni egoistiche. Così nel corso della vita il nome cambia seguendo il naturale corso della propria crescita; c’è “cacciatore di pietre” e “guaritrice” che tra l’altro le dimostrerà come si può curare una persona solo attraverso l’uso sapiente di rimedi naturali e lo scambio di energia tra gli individui.
Credo realmente che tutto ciò sia possibile ed incredibilmente meraviglioso; come cento anni fa sarebbe sembrata una pazzia parlare di computer o telefonini, tutti progressi ottenuti attraverso la ricerca “verso l’esterno”, non vedo perchè non si possano ottenere altrettanti, fantastici risultati con la ricerca “verso l’interno”. Di più non voglio raccontare; spero qualcuno si concederà il piacere di leggere questo racconto; da accanita lettrice posso dire che non ha uno stile narrativo favoloso, ma chi parla mangia la carne col sugo!….ci ho trovato però l’essenza di tante cose, ho percepito l’alzarsi del velo dell’illusione da tante, tante cose!
Molto interessante l’articolo, il libro in questione e gli insegnamenti tradizionali che gli aborigeni dispensano ed a cui rendo onore. Per quanto riguarda la conoscenza e l’uso dell’etere, ricordo che il maestro più riconosciuto di trasmutazioni eteriche è stato il Signore Gesù, che moltiplicava pani e pesci e sintetizzava farmaci eterici di massima efficacia terapeutica ed invitava i discepoli a fare altrettanto, rassicurandoli che in Suo nome avrebbero potuto fare anche meglio! Per quanto riguarda le macchine e le tecnologie eteriche, il miglior esempio, ricordato in molti testi sanscriti della tradizione vedica, sono i vimana, macchine volanti degli antichi popoli iperborei ed atlantidei,controllate con tecnologia interiore eterica, di cui naturalmente non è rimasta traccia. Al contrario oggi al fondo dell’età oscura, i motori non sono ad etere, vanno si a benzina, ma i piloti delle auto sono talmente identificati con la carrozzeria delle loro macchine, da considerare ogni graffio alla vernice come una ferita sulla propria pelle. C’è un discorso, Shri Rama Puja , in cui Madre accenna brevemente a dispositivi del tempo di Shri Rama, suscitando ahimè le risate degli yogis presenti, per cui non insisto più di tanto. Ho citato alcuni cosiddetti popoli antidiluviani proprio perché l’alone misterioso di antichità degli aborigeni sembra richiamarli.
Disclaimer: Considerando che le autorità scientifiche moderne negano decisamente l’esistenza dell’etere e le autorità storiografiche negano da sempre l’esistenza di popoli antidiluviani e le autorità religiose mondane negano alle persone comuni la possibilità di far miracoli, per evitare rimostranze di esponenti delle suddette categorie, invito a considerare queste mie parole come favola o fantasticheria, se vi pare.
Ciao e grazie.
Sapete come contattare Marlo Morgan?Social o indirizzo?
Dev essere un libro grandioso con ispirazioni preziose. Lo cerchero in bookshop , grazie